Solo con lei era possibile fare acrobazie e volare…
Poco più di un mese, pesante come il macigno di Sisifo. Portare in cima alla montagna il peso della perdita di Linda è come chiedere ad un essere umano di respirare sott’acqua. Sott’acqua. Sono stati lunghi, interminabili, dolorosissimi mesi di dolore, eravamo in apnea e niente ci dava sollievo.
Linda ha sofferto tantissimo. E noi con lei. Abbiamo provato di tutto, consultato tanti medici, provato diverse terapie. Anche l’agopuntura e l’omeopatia. Niente. Si è spenta lentamente…
Clementina è rimasta così tanto immobile nel box attiguo a guardarla e farle compagnia che oggi non vuole più uscire.
Adesso anche noi stiamo provando a guarire. Ci lecchiamo le ferite scambiandoci un mondo di coccole.
Siamo radicati alle nostre convinzioni e facciamo fatica a cambiare le prospettive di osservazione. Le incoerenze lampanti vengono accettate come realtà funzionali al nostro piacere, spesso innestato in tradizioni culturali socialmente riconosciute ma deboli di fronte alle innovazioni dell’etica e della scienza.
Perché crediamo che il soddisfacimento di abitudini culturali acquisite sia l’unica prospettiva per il nostro benessere? Vivere significa mettere costantemente alla prova le proprie acquisizioni culturali, esplorarsi, conoscersi, sperimentare.
Ragli&Nitriti propone metodi relazionali differenziati con gli equidi, basati su un graduale avvicinamento all’animale. Propone “una attenta progressione delle possibilità di relazione con questi cari amici di antiche alleanze”.
Non possiamo mostrare ai bambini e ai ragazzi che l’unica possibilità di trascorrere piacevolmente tempo con asini, pony o cavalli sia montarvi sopra e renderlo completamente soggiogato alle nostre volontà.
Andare a cavallo è un’acquisizione culturale. Il cavallo non è stato ideato dalla natura per portare some né per portare esseri a cavalcioni sul suo dorso delicato. Si dimentica l’alleanza, lo stare insieme in libertà, “tutti a zampe per terra e ciascuno con le proprie particolarità”.
Fino a quando mostreremo rapporti esclusivamente funzionali al nostro piacere, non avremo compiuto il passo etico relazionale contemporaneo.
L’organizzazione utilizza il metodo di Equimozione ed Isodinamica (Equitazione Sentimentale), considerando “l’importanza delle iso-dinamiche cavallo/cavaliere”: gli animali diventano atleti pronti per tutte le discipline sportive.
Gli equidi sono stati predati in natura ma ci hanno offerto alleanze. Occorre restituire dignità e rinsaldare antiche e preziose relazioni.
È ormai famosa sul web la storia degli asini che arrivarono in Paradiso e non ci vollero restare. La narrazione ha probabilmente origini musulmane, ma noi proviamo a raccontarvi la nostra.
Durante i pomeriggi assolati, per il caldo, la noia, la voglia di correre, giocare e gridare in libertà… molti bambini avevano preso l’abitudine di schernire e maltrattare gli asini che, miti e silenziosi, riposavano all’ombra dopo il faticoso lavoro coi padroni.
A quel tempo, gli asini erano molto utili in quasi tutti i lavori di campagna, di paese, per i trasporti, i commerci, per la costruzione di strade, di case, per il lavoro nelle miniere… Forse fu proprio perché gli asini lavoravano tanto senza mai lamentarsi che i bambini cominciarono a deriderli senza rispetto. Inoltre, quegli stessi bambini vedevano spesso gli adulti usare i bastoni con violenza per incitare gli asinelli stanchi dal carico. Si sa: è facile cominciare a zoppicare quando si frequenta lo zoppo…
Un gruppo di angeli si accorse della pena subita dagli asini: li vedevano “correre e inciampare tra urla, colpi e sonore risate.” Sembrava quasi che i bambini volessero scaricare tutte le loro energie represse, le forze fisiche trattenute a scuola, le parole non dette ai genitori ed agli adulti. I bimbi si divertivano, ma gli asini penavano.
Gli angeli erano molto tristi, sia per i bambini che per gli asini, così decisero di presentarsi dinnanzi a Dio e chiedergli di dare agli asini quell’unico compenso che certamente meritavano: il Paradiso.
C’era un altro problema: qualcuno aveva detto che “gli asini non possono entrare in Paradiso a causa del loro sgraziato raglio,” quel suono lacerante che nelle notti più buie del buio, a volte, terrorizzava la gente.
Ma gli occhi degli angeli non mentono, tutto lasciano trasparire, e nemmeno le orecchie… Dio vide in una sola immagine, e ascoltò in un sol suono, tutte le angherie subite dagli asini sulla Terra. Decise: da quel momento anche gli asini sarebbero andati in Paradiso!
Ed infatti. Tutti in fila difronte alla bianchissima porta del Cielo, ad orecchie trepidanti, finalmente pronti alla Luce…
La porta si aprì. Gli asini, tremanti e gioiosi, ne varcarono col naso e il muso la soglia. Ma chi trovarono in prima linea ad aspettarli? Le anime pure dei bambini.
Fu così che “gli asini – forse per primi nella storia dei Mondi – scapparono via terrorizzati dal Paradiso.” Ecco perché gli asini hanno il naso e il muso bianchi, le uniche parti del loro corpo che si immersero nella Luce… Ed ecco perché, spesso, temono i bambini…
È variegata la paternità in natura. Gli esseri umani hanno lentamente sviluppato il senso morale dell’esser padri, standardizzando anche le qualità migliori per la genitorialità: no all’incesto, no alla prevaricazione del più forte e anziano, sì alle cure parentali fino all’indipendenza.
Ma in natura si cresce molto velocemente, appena si nasce si diventa adulti. In particolare, gli erbivori predati (equidi, ovini, caprini…), appena nati, hanno giusto il tempo di mettersi in piedi per raggiungere le mammelle della madre, un tempo brevissimo per bere i primi sorsi di latte e vita: se un puledro non riesce a mettersi in posizione eretta per allattare, muore in sole 24 ore e la madre non può far nulla per aiutarlo, se non riscaldarlo ed incoraggiarlo a mettersi in piedi sulle proprie zampe. Gli erbivori non portano il cibo ai propri figli quando essi non possono farlo autonomamente.
Nelle società equine, il padre è il maschio alfa dominante che fonda una comunità solidale con le mogli e le figlie femmine: i figli maschi, non appena raggiungono la maturità riproduttiva vengono malamente cacciati. È molto cruda la familiarità degli equidi, non ci sono sconti nemmeno per la prole. I figli maschi, spesso, conoscono del padre solo le qualità espulsive. L’orologio biologico naturale fa scoccare i giorni come se fossero secondi e il tempo per esser figli è sempre molto poco. I giovani maschi, figli dello stesso padre e di madri diverse, si uniscono presto in vivaci alleanze; da fratellastri, come amici adolescenti, lasciano il gruppo di appartenenza e cominciano il loro viaggio per fondare, a loro volta, altri harem e diventare padri.
Ecco, forse una delle più profonde differenze che esistono tra noi e gli equidi è data dalla nostra natura squisitamente umana: non solo – come figli – non ci scordiamo che fino alla fine restiamo pur sempre “figli”, ma anche che – come padri – non possiamo mai smettere di esser tali: nella buona e nella cattiva sorte siamo sempre, e al tempo stesso, figli e padri. Non solo di noi stessi…
L’essere umano è l’animale che più di ogni altro ha sviluppato e coltivato caratteristiche che la zooantropologia definisce “epimeletiche”. Per l’animale umano prendersi cura della prole è il fine stesso della vita, e questa tendenza si manifesta non solo attraverso le cure parentali ma anche attraverso tutte quelle azioni di cura e protezione del più piccolo, del fragile, del bisognoso.
Forse, in fondo, non siamo messi proprio male: una socialità equilibrata e sana passa proprio attraverso la Cura dell’Altro, che sia figlio, oppure no…