E’ variegata la paternità in natura. Gli esseri umani hanno lentamente sviluppato il senso morale dell’esser padri, standardizzando anche le qualità migliori per la genitorialità: no all’incesto, no alla prevaricazione del più forte e anziano, sì alle cure parentali fino all’indipendenza.
Ma in natura si cresce molto velocemente, appena si nasce si diventa adulti. In particolare, gli erbivori predati (equidi, ovini, caprini…), appena nati, hanno giusto il tempo di mettersi in piedi per raggiungere le mammelle della madre, un tempo brevissimo per bere i primi sorsi di latte e vita: se un puledro non riesce a mettersi in posizione eretta per allattare, muore in sole 24 ore e la madre non può far nulla per aiutarlo, se non riscaldarlo ed incoraggiarlo a mettersi in piedi sulle proprie zampe. Gli erbivori non portano il cibo ai propri figli quando essi non possono farlo autonomamente.
Nelle società equine, il padre è il maschio alfa dominante che fonda una comunità solidale con le mogli e le figlie femmine: i figli maschi, non appena raggiungono la maturità riproduttiva vengono malamente cacciati. E’ molto cruda la familiarità degli equidi, non ci sono sconti nemmeno per la prole. I figli maschi, spesso, conoscono del padre solo le qualità espulsive. L’orologio biologico naturale fa scoccare i giorni come se fossero secondi e il tempo per esser figli è sempre molto poco. I giovani maschi, figli dello stesso padre e di madri diverse, si uniscono presto in vivaci alleanze; da fratellastri, come amici adolescenti, lasciano il gruppo di appartenenza e cominciano il loro viaggio per fondare, a loro volta, altri harem e diventare padri.
Ecco, forse una delle più profonde differenze che esistono tra noi e gli equidi è data dalla nostra natura squisitamente umana: non solo – come figli – non ci scordiamo che fino alla fine restiamo pur sempre “figli”, ma anche che – come padri – non possiamo mai smettere di esser tali: nella buona e nella cattiva sorte siamo sempre, e al tempo stesso, figli e padri. Non solo di noi stessi…
L’essere umano è l’animale che più di ogni altro ha sviluppato e coltivato caratteristiche che la zooantropologia definisce “epimeletiche”. Per l’animale umano prendersi cura della prole è il fine stesso della vita, e questa tendenza si manifesta non solo attraverso le cure parentali ma anche attraverso tutte quelle azioni di cura e protezione del più piccolo, del fragile, del bisognoso.
Forse, in fondo, non siamo messi proprio male: una socialità equilibrata e sana passa proprio attraverso la Cura dell’Altro, che sia figlio, oppure no…