Bastone e carota, questo dice la tradizione. Tu bastona perché il somaro capisce la lingua dei colpi… oppure nascondi uno zuccherino se vuoi raggirarlo…
Certo, anche con gli asini i metodi “stimolo-reazione” possono funzionare, almeno quanto possono funzionare con cavalli e, detto crudamente, anche con gli esseri umani. Risultati? Qualche esempio: valore individuale negato, dignità forata, menti puramente esecutive, talento schiacciato, prestazioni dal gusto estetico e stilisticamente corrette ma eseguite con paura o distacco.
Perdiamo non poco a voler addestrare e ammaestrare gli equidi. Perdiamo non poco a volerli sottomettere chiedendo loro prestazioni che gratificano soltanto l’umano. Purtroppo, la tradizione equestre appesantisce ancora i nostri occhi e nostri gusti: molti sono ancora convinti che il cavallo possa provare piacere solo in tre casi: 1. da solo o in gruppo intraspecifico e in libertà, 2. in addestramento o in gara, 3. in pace nel box.
Gli equidi sono animali naturalmente sociali, le relazioni inter-specifiche (uomo/equide) possono essere molteplici e gratificanti anche per gli animali. Basta non avere fretta, basta saper attendere il sentimento prima della prestazione. Facile a dirsi…
Avete notato gli occhi spenti dei cavalli dentro ai box? Oppure: quanti ne avete sorpresi con il ticchio d’appoggio? (L’animale per noia, o disperazione, agisce una sorta di stereotipia compulsiva appoggiando i denti alle porte dei box ed ingurgitando aria nello stomaco. Questo disturbo del comportamento può causare gravi coliche, fino alla morte, ma l’unica soluzione fino ad ora osservata nei maneggi è quella di ingabbiare ulteriormente l’animale…)
La lettura zooantropologica degli ecosistemi inter-specifici (uomo/cultura/natura/animali) evidenzia una tripartizione delle relazioni uomo-animali: 1. fase magico-totemica, 2. fase funzionale-strumentale, 3. fase etico-relazionale. Queste tre fasi sono storicamente esistite (la prima corrispondente all’uomo che vivifica e animizza la natura e il mondo animale, la seconda che vede l’animale solo come un mezzo per raggiungere uno scopo (allevamento, caccia, mobilità, guerra). La terza fase dovrebbe essere quella attuale: dell’essere umano che si pone in relazione etica con gli animali e gli ecosistemi. Purtroppo queste tre fasi si intersecano ai nostri giorni nella più grande inconsapevolezza generale.
Ma cosa è oggi l’animale per noi? Dall’animale da salotto, misero feticcio di proiezioni estetiche tutte umane (vedi ad esempio la tendenza magico-totemica contemporanea dei proprietari di cani che riducono spesso il loro animale da essere estremamente intelligente, es. il barboncino, a un essere peloso, cotonato e profumato da adulare e vezzeggiare come una bambola), all’animale per le corse clandestine o i combattimenti con galli, cani… (in cui la catarsi politico-sociale umana avviene attraverso il sacrificio e la violenza perpetuata sulle vittime animali), oppure ancora un essere che esegue performances e/o genera profitti (circo, salti, competizioni, allevamenti).
Eppure, gli animali possono darci altro, un equide può darci dell’altro. Esiste la possibilità di educare le menti equine ad intelligere, a comprendere quanto chiediamo loro e a fornirci alleanze attive e cognitive, in cui la volontà di fare insieme diventa un obiettivo comune: dell’uomo con l’equide.
I metodi strettamente comportamentisti applicati agli animali hanno il pregio di mettere subito in evidenza i risultati, ma non reggono alla prova del tempo e si infrangono sempre, e spesso con gravi conseguenze, con le varietà comportamentali degli ecosistemi in cui ci si può trovare.
Osservate questa immagine, ne riparleremo… ;)